Infortuni sul lavoro da COVID-19
L’art. 42 del cosiddetto “ Decreto Cura Italia”, il DL n. 18/2020 convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020, definisce le due principali direttrici dell’azione dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ( Inail) in relazione alle conseguenze sociali e lavoristiche della situazione di emergenza COVID-19. Direttrici che consistono sostanzialmente in:
- la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza per il conseguimento delle prestazioni assistenziali erogate dall’Istituto;
- il riconoscimento della tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da Covid-19 in occasione di lavoro.
L’infezione da COVID-19, contratta in occasione di lavoro, è dunque qualificata quale infortunio e l’Inail, intervenendo sul punto con la circolare n. 13/2020 fornisce istruzioni operative di attuazione dell’art. 42 del d.l. n. 18/2020, a cominciare “dall’introduzione della presunzione semplice di origine professionale del contagio, operante – fino a prova contraria – esclusivamente a favore dei lavoratori assicurati INAIL nei confronti dei quali insiste un rischio specifico, in ragione delle particolari mansioni cui sono adibiti”. Successivamente, “in seguito alle preoccupazioni mosse dalle associazioni imprenditoriali, l’INAIL ha poi offerto, in una circolare successiva, la sua interpretazione in merito al tema della responsabilità datoriale”.
Ad affrontare questi temi – come indicato nell’abstract del contributo – è un saggio pubblicato sul numero 2-2020 del “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista dell’Osservatorio Olympus e pubblicazione semestrale dell’ Università degli Studi di Urbino.
Nell’articolo ci soffermiamo sui seguenti argomenti:
- L’infortunio sul lavoro da COVID-19 come causa violenta
- L’infortunio sul lavoro da COVID-19 in occasione di lavoro
- COVID-19: il presupposto dell’occasione di lavoro in via presuntiva
- COVID-19, infortunio sul lavoro e responsabilità datoriale
L’infortunio sul lavoro da COVID-19 come causa violenta
Nel saggio “Rischio di contagio da Covid-19 come infortunio sul lavoro e la circolare INAIL n. 13/2020”, a cura di Beatrice Rossilli (dottoressa in Giurisprudenza nella Sapienza Università di Roma), l’autrice si sofferma in particolare sulla configurazione di infortunio sul lavoro del COVID-19 contratto dai lavoratori.
Ricorda che l’art. 42, comma 2, qualifica, come indicato a inizio articolo, l’infezione da SARS-Cov-2 quale infortunio sul lavoro.
In particolare l’Inal nella circolare del 3 aprile 2020 n. 13 rileva che “l’orientamento interpretativo offerto dal legislatore, in ordine alla riconduzione del fenomeno di contrazione del virus in occasione di lavoro alla fattispecie di infortunio, si mostra perfettamente aderente al consolidato indirizzo dell’Istituto sulla trattazione delle malattie infettive e parassitarie”.
A questo proposito l’autrice fornisce qualche “considerazione di ordine generale in riferimento alla fattispecie di infortunio” per comprendere “l’argomentazione logico-giuridica a fondamento dell’interpretazione qualificatrice del legislatore rispetto alla fattispecie di contagio”.
Si segnala che il Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (D.P.R. n. 1124/1965. – T.U. INAIL), “specifica gli elementi oggettivi necessari affinché un evento possa essere configurato come infortunio sul lavoro:
- la causa violenta;
- l’occasione di lavoro;
- la lesione come conseguenza dell’evento”.
E la causa violenta “consiste in un evento che con forza concentrata e straordinaria agisca, in occasione di lavoro, dall’esterno verso l’interno dell’organismo del lavoratore, dando luogo ad alterazione lesive”: la causa violenta “rappresenta il fattore idoneo a distinguere l’infortunio sul lavoro dalla malattia professionale”. E il consolidato orientamento giurisprudenziale considera che “la causa violenta richiesta ex art. 2 del d.P.R. n. 1124/1965 per l’indennizzabilità dell’infortunio consti di un’azione di qualunque fattore dotato di rapidità che, agendo dall’esterno verso l’interno dell’organismo, è idoneo a determinare un’alterazione del suo equilibrio”, dove la rapidità è riferita all’azione della causa violenta e non alle sue conseguenze.
E se la giurisprudenza riconosce nel fattore della rapidità, “uno dei coefficienti idonei ad incidere e a determinare la summa divisio tra le due tipologie di fattispecie rilevanti ai fini della tutela assicurativa dell’Istituto”, riguardo alla fattispecie di malattia professionale, invece “può dirsi che, al contrario dell’infortunio, la lesione si registra come diretta conseguenza di una prolungata esposizione all’agente patogeno”.
In definitiva nel caso di contagio da Covid-19 “il legislatore, seguendo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, ha ritenuto si configurasse la causa violenta e lo ha qualificato, pertanto, infortunio sul lavoro”.
Infatti le patologie infettive contratte in occasione di lavoro sono “inquadrate e trattate – da un punto di vista tecnico-giuridico e assicurativo – come infortunio sul lavoro, in virtù di un’equiparazione tra la causa virulenta e la causa violenta propria dell’infortunio”.
Si ricorda poi che “l’equiparazione tra causa virulenta di natura biologica e causa violenta è rinvenibile sin dal 1910 dalla Giurisprudenza della Corte di Cassazione di Torino che si era pronunciata considerando infortunio lavorativo il carbonchio, principio successivamente accolto anche dal legislatore).
L’infortunio sul lavoro da COVID-19 in occasione di lavoro
Veniamo ora al “secondo elemento oggettivo definitorio della fattispecie di infortunio”, vale a dire, l’occasione di lavoro.
L’autrice indica che prima l’orientamento giurisprudenziale maggioritario “sosteneva che l’occasione di lavoro di cui all’art. 2 del T.U. ricomprendesse tutte le condizioni socio-economiche in cui l’attività lavorativa si svolgeva e nelle quali fosse insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenisse dall’apparato produttivo o dipendesse da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, con il solo limite del c.d. rischio elettivo”. Successivamente l’orientamento giurisprudenziale “ha esteso l’area dell’indennizzabilità dell’infortunio subito dall’assicurato all’ipotesi del rischio improprio, ossia quello non intrinsecamente connesso al disimpegno delle mansioni tipiche del lavoro prestato dal dipendente ‘ma insito in un’attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni e, comunque, ricollegabile al soddisfacimento di esigenze lavorative’ (Cass. civ., sez. lavoro, 14 ottobre 2015, n. 20718).
In definitiva “affinché l’infortunio sia indennizzabile da parte dell’INAIL, non è necessario che l’evento lesivo sia avvenuto nell’espletamento delle mansioni cui il lavoratore è tipicamente adibito, essendo sufficiente che lo stesso sia occorso durante lo svolgimento di attività strumentali o accessorie”. E da questo punto di vista l’occasione di lavoro crea “un’ulteriore linea di confine tra l’infortunio e la malattia professionale”: “per il configurarsi di quest’ultima non è sufficiente che l’evento lesivo sia semplicemente occasionato dall’attività lavorativa ma è necessario che quest’ultimo sia in un rapporto causale, o concausale, diretto con il rischio professionale”. E, nella situazione virale relativa alla pandemia da COVID-19, è “intuibile la complessità riscontrabile nel dimostrare l’origine professionale del contagio, data la manifesta difficoltà ad individuare l’esatto momento in cui lo stesso si è verificato, se in circostanze riconducibili all’attività lavorativa, ovvero alla vita privata”.
Veniamo poi alla “presunzione di origine professionale dell’evento lesivo per alcune limitate categorie di lavoratori”.
COVID-19: il presupposto dell’occasione di lavoro in via presuntiva
Con la circolare n. 13/2020 l’Inail introduce una “presunzione semplice di origine professionale del contagio da Covid-19 operante a favore di alcune categorie di lavoratori, sulla scorta del fatto che, su di essi, insisterebbe una maggiore esposizione al rischio in ragione delle particolari mansioni cui sono adibiti”.
Tale criterio della presunzione semplice “consente, a determinate condizioni, di ricomprendere nella protezione assicurativa casi in cui l’identificazione delle precise cause del contagio si presenti di difficile attuazione”.
Il documento ricorda che il ricorso al criterio presuntivo nella trattazione delle malattie infettive e parassitarie risale ad una pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. lavoro, 3 novembre 1983, n. 5764) “ove, i giudici di legittimità, ebbero l’occasione non solo di riannoverare tra le cause violente configuranti la fattispecie di infortunio sul lavoro le cause lesive di natura microbica o virale, ma sostennero altresì che, ricorrendo al criterio presuntivo – al verificarsi di determinate circostanze gravi, precise e concordanti – poteva ritenersi dimostrato il nesso eziologico tra l’agente patogeno e l’evento lesivo”. E il principio della presuntività “venne ulteriormente esplicitato in successive pronunce della Suprema Corte”.
Riguardo poi al criterio presuntivo la circolare richiama “gli operatori sanitari ‘esposti ad un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico’ e, in via meramente esemplificativa, altre attività lavorative che presentano come denominatore comune, il costante o quanto meno frequente contatto con il pubblico” (‘lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi’).
Si indica che le caratteristiche intrinseche di svolgimento di queste attività “sono state determinanti affinché l’Istituto estendesse ai soggetti tenuti ad esercitarle, l’operatività del principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari”. E per questa circoscritta platea di lavoratori assicurati, “in caso di contagio, il requisito dell’occasione di lavoro sarà, pertanto, presunto, salvo prova contraria che dimostri con certezza che lo stesso sia avvenuto per ragioni estranee all’attività lavorativa”.
Chiaramente – continua il saggio – è “doveroso chiedersi quale sorte spetti a quei lavoratori che, pur avendo contratto il virus, si collochino al di fuori del perimetro delineato dalla circolare n. 13/2020 con l’elencazione non tassativa offerta dall’Istituto. È importante sottolineare, infatti, che il campo di applicazione della tutela INAIL nei casi di infortunio da Covid-19, non è circoscritta alle sole fattispecie in cui l’origine professionale del contagio sia presunto: nei casi, infatti, in cui non si possa presumere che il contagio si sia verificato in costanza dell’espletamento delle mansioni e/o di attività connesse o strumentali alle stesse, spetterà al lavoratore il gravoso onere di fornire la prova che la contrazione del Covid-19 sia avvenuta in occasione di lavoro”.
Rimandiamo alla lettura integrale del saggio che riporta poi alcune perplessità in dottrina rispetto alle linee tracciate dall’INAIL in merito all’accertamento dell’origine professionale dell’infortunio e riporta, nel punto 4., anche alcune indicazioni operative, ad esempio riguardo:
- “la denuncia di malattia-infortunio per infezione da nuovo coronavirus e certificazione medica;
- esclusione degli eventi infortunistici derivanti da infezione da nuovo coronavirus dalla determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico;
- infortunio sul lavoro in itinere occorso durante il periodo di emergenza da Covid-19”.
COVID-19, infortunio sul lavoro e responsabilità datoriale
Ci soffermiamo, invece, brevemente sulla circolare INAIL n. 22/2020 e sui chiarimenti dell’Istituto in merito alla responsabilità datoriale.
Si segnala che nella fase “immediatamente successiva all’emanazione della circolare, sulla scorta della presunzione sull’origine lavorativa del contagio da Covid-19, le associazioni imprenditoriali si sono mostrate oltremodo preoccupate rispetto ad una responsabilità datoriale che, nell’attuale situazione emergenziale, avrebbe esposto le imprese ben oltre la propria sfera di controllo”. Anche con riferimento a queste preoccupazioni l’Inail ha pubblicato la circolare n. 22/2020 “ove ha espresso la sua posizione in merito al tema della responsabilità datoriale, fornendo la propria interpretazione”.
La circolare nel riconfermare la riconduzione dell’evento di contagio alla fattispecie di infortunio, “non si limita a ribadire che la presunzione dell’origine professionale del contagio da Covid-19 non debba interpretarsi come un mero automatismo ai fini dell’ammissione alla tutela assicurativa dei casi denunciati, dovendo sempre presupporsi un accertamento rigoroso dei fatti e delle circostanze che provino l’origine professionale del contagio, ma fa un passaggio ulteriore”.
Infatti l’Istituto – continua l’autrice – “chiarisce che il riconoscimento dell’origine lavorativa dell’infezione attraverso il meccanismo presuntivo indicato nella circolare n. 13/2020, non ha alcuna incidenza rispetto al riconoscimento di una responsabilità datoriale in riferimento all’evento infortunistico”. Dunque l’Inail sostiene che “il riconoscimento dell’origine professionale dell’infortunio non può in alcun modo rilevare sulla valutazione in ordine all’imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro”.
In poche parole “i criteri di accertamento presuntivo del nesso di causalità dettati in questo caso, in funzione solidaristico-previdenziale, sono profondamente diversi dai criteri che invece fondano una responsabilità di natura civile o penale, le quali devono essere rigorosamente accertate con criteri diversi da quelli operanti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative”.